«Cavour non fu
un patriota del tipo Pellico ed Inno di Mameli, ma un uomo dinamico, certamente
colto, ma non di una cultura umanistica all'italiana, tipo Alfieri, Balbo,
Gioberti...
Era uno che amava rischiare.
Come tutti i torinesi ricchi aveva una formazione francese e un solido parentado elvetico. È noto che essendo di madrelingua francese, per mettersi in politica, l'italiano lo dovette imparare. È anche noto che era il comproprietario di un feudo-tenuta che si scrive e si legge in francese.
Molto ricco, curioso, intraprendente, sicuro di sé, conosceva di Parigi i luoghi che contavano, non certo le banlieu, e a Parigi si fermò a giocare in Borsa.
Perdendo, purtroppo.
Perché, se avesse vinto, l'Italia di oggi avrebbe una diversa classe dirigente.
Era uno che amava rischiare.
Come tutti i torinesi ricchi aveva una formazione francese e un solido parentado elvetico. È noto che essendo di madrelingua francese, per mettersi in politica, l'italiano lo dovette imparare. È anche noto che era il comproprietario di un feudo-tenuta che si scrive e si legge in francese.
Molto ricco, curioso, intraprendente, sicuro di sé, conosceva di Parigi i luoghi che contavano, non certo le banlieu, e a Parigi si fermò a giocare in Borsa.
Perdendo, purtroppo.
Perché, se avesse vinto, l'Italia di oggi avrebbe una diversa classe dirigente.
Visitò Londra
e anche Edimburgo, capitale della massoneria. Non girò l'Italia come Massimo
d'Azeglio. Anzi, non la conosceva affatto.
Non fu mai a
Palermo e a Napoli, non vide mai Roma, che voleva come capitale d'Italia al
solo scopo di non lasciare spazi all'azione di Mazzini e dei repubblicani; non
andò mai a Venezia, che pure cercò arditamente di portare nei confini sabaudi.
Solo una volta
fu a Firenze, per sbrigare un affare di governo, e forse due volte a Milano,
per lo stesso motivo».
Nicola Zitara (fu scrittore e giornalista calabrese).